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Cibo e Amore…

Non siamo in grado di immaginare le primissime sensazioni dell’uomo, quando apparve nel creato. Per cui, possiamo solo immaginare quelle condizioni che si avvicinano, in un certo qual modo, alle nostre attuali condizioni. Gli stimoli gastrici del primo esquimese, non possiamo immaginarceli, purtroppo. Alcune teorie psicoanalitiche – Wilfried Bion – associano l’amore, al richiamo di acidi dell’apparato gastroduodenale. Essi, causando fame, provocherebbero nel cervello la paura di morire, che produrrebbe a livello dinamico, l’immagine d’amore a cui chiedere di non essere uccisi, ossia di essere salvati, quindi di darci il cibo che sentiamo indispensabile per non morire. Ci domandiamo, quindi, a chi chiedeva, Dio medesimo, di non essere ucciso, quando, per fame, creò il mondo. Scherzi a parte, non esiste una teoria razionale che possa dare ragione interamente dell’essere umano nel suo rapportarsi alla realtà, e quindi anche all’amore e all’amore in relazione al cibo. Esistono tanti e variegatissimi “frames” concettuali che possono suggerirci quando il cibo passa, da rapporto con la natura, a rapporto con l’umano. Il piacere di trovare dei lamponi durante una passeggiata in montagna è indipendente dal fatto che siamo in compagnia di Monica Bellucci o no. E Monica Bellucci, ci piace anche quando siamo sazi. Non solo. Se proprio proprio vogliamo essere sinceri, non possiamo credere che i bambini mangino perchè devono crescere, poiché anche i vecchi, mangiano, e anche molto più volentieri – infatti ai bambini piccolissimi, quando mangiano, si dice “bravo”, proprio perchè, nelle loro corde emotive, mangiare è solo un urgenza, non una necessità. Tuttavia, come si diceva in questi post, la differenza che si presume passi tra gli animali e l’uomo, è quella di chiamare il nutrimento “cibo”, cioè “senso”. L’uomo, nei millenni, ha trovato quindi pressochè infinite combinazioni relative agli alimenti, al loro sapore, gusto, sapore, profumo, facendo risultare l’atto del cibarsi, un atto sempre più intelligente, più raffinato, più complicato di quanto non lo fosse in origine, poiché non è possibile che Dio, insieme all’uomo, abbia creato anche le ricette di cucina.

…la pecora…

La più antica attività che si conosca praticata dall’essere umano, è la pastorizia. Essa viene naturalmente prima addirittura dell’agricoltura, poichè implicava la presenza di elementi autoctoni della natura, quali gli ovini e l’erba. Per male che gli poteva andare, all’uomo pre-civile (consideriamo l’agricoltura un “certo” grado di civiltà poichè implica una società che ne richieda la continuità…) non mancavano le risorse alimentari, che poteva trovare naturalmente a sua disposizione, poiche non tutti gli animali erano e sono feroci.

La culla della civiltà, la Grecia, viveva di pastorizia e di pesca, come sarebbe sufficiente anche a noi industrializzati se solo fossimo in un numero ragionevole e ragionevolmente distribuito sul globo. Tuttavia, i dettami di alcune religioni, ideologie incluse, hanno ipotizzato una procreazione infinita, aumentando indefinitamente quindi il rapporto sociale, ad un non ben chiaro e manifesto fine.

Sorge reale il dubbio se il fine della procreazione illimitata fosse un dettame della civiltà, poichè nessun sistema biologico – quale appare anche l’uomo – si accresce illimitatamente.

Tuttavia si possono compiere degli esperimenti mentali, direi Galileiani.

Uno su tutti: il peggiore. In attesa del giorno del giudizio, giorno in cui gli eletti verranno separati dagli ingiusti, gli eletti si ciberanno del loro stesso genere carnale, l’uomo, nella credenza del mostruoso, che esso porti alla vita eterna.

Gli altri, sono tutti migliori. Fagocitacidio compreso.

…la Terra…(1)

Avere 62 anni non significa “distare” “n” da un punto “zero” indietro nel tempo. Significa solo sapersi dare piu o meno ragione delle cose in proporzione al contenuto che si ha.

Allo stesso modo, le cose, non “distano” “n” numeri dalla loro origine, ma recano in sè la ragione che si è sviluppata in loro.

In questo modo, il tempo, non è l’età di qualche cosa, ma invece  essenzialmente la memoria che se ne ha, di cui si dispone e di cui si sa dare racconto, platonicamente.

In questo modo, un semplice sasso è ciò che ha rotto il vetro del vicino e ha tenuto poi fermo il palloncino di un bimbo. Con ciò, il senso dell’età delle cose non insiste solo in ciò che è la loro funzione.

Quando quindi guardiamo una vallata, un tramonto, un fiume, l’orizzonte marino, una distesa desertica, facciamo semplicemente ritorno alla visione trascendentale della nostra memoria, sia che abbiamo veduto la cosa che vediamo, ma ancora di piu’ se non l’abbiamo mai vista.

Ognuno di noi, quindi, figlio di padri, nipote di nonni, bisnonni, trisnonni e avi perduti, quando vede qualcosa, non vede con i soli occhi, naturalmente, nè con i soli sensi di un presunto tempo presente. Anzi, diciamo pure che senza tale memoria trascendentale, manca addirittura la possibilità della memoria, in quanto si scambiano significati per sensi.

Ragion per cui, la vera ragione del passato, consiste nell’attribuzione di un senso di ciò che sarà l’immediato futuro dentro di noi.

…un giudizio…

In questo celeberrimo affresco di Michelangelo – che accompagna da 5 secoli la rappresentazione pittorica della creazione dell’Universo – sono principalmente raffigurate due figure. Una a destra ed una a sinistra. Quella di destra appare con la barba bianca, quella di sinistra, invece, molto più giovane. Questo potrebbe quindi indicare che, se vi fosse da attribuire un ordine di causalità diretta tra chi e quando e per chi creare, non vi fossero dubbi di sorta nell’individuare che, colui che è più giovane, sia creato da colui che appare più vecchio.

Ad uno sguardo più attento, invece, l’affresco, che ricordiamo ricoprire per intero la Cappella Sistina di S.Pietro in Roma, presenta un particolare che invece è assolutamente straordinario. Benchè, quindi, possa difficilmente essere messa in dubbio l’età di chi crea e quando e con chi, è la mano della raffigurazione del più giovane che crea la parte relativa alla figura più vecchia. Infatti, tale mano, appare sganciata oramai dallo stringere od impugnare qualcosa, e addirittura appare come fosse stanca di avere fatto qualcosa. Evidentemente, Michelangelo, dagli studi sulla pietra scolpita, aveva tratto insegnamento che il tempo, e quindi il tempo della creazione, è un emergere negativo di qualcosa, che automaticamente invecchia, mentre la creazione, innova e ringiovanisce. Tale situazione configura molte realtà su cui discutere, ma di cui noi osserviamo principalmente le maggiori.

A) La parte destra del dipinto, quindi, dopo questa “gestald” appare provenire da una particolare destra ed andare verso una generica sinistra, come se si disperdesse, mentre, al contrario, dopo tale “gestald” è la parte sinistra a sembrare schiacciata e ferma, come ancorata a qualcosa. E’ quindi tale parte ad essere la creatrice di tutta la Cappella Sistina, nascondendo quindi ai più, che tutto ciò che vi è in ogni altro lato è il giudizio, quindi, ciò che è passato, mentre è il giudicato, ciò che è fermo, che è il futuro.

B) Di conseguenza abbiamo un movimento che è totalmente al contrario: il futuro si ritira nel giudicato e lascia al passato ogni giudizio. Totalmente.

C) Vi debbono essere quindi crimini e colpe che non debbono ripresentarsi nel futuro, di ciò che è il suo senso.

…il “pesce…”…

Vi sono misteri che si possono risolvere, misteri che non si possono risolvere, misteri irrisolti. I primi sono quelli possibili, i secondi, quelli impossibili, i terzi, gli evitabili.

Cercare a 30.000 di profondità gli avanzi di Atlantide mi sembra uno di quei misteri che chiamerei impossibile, poichè non accrescerebbe la mia percezione del futuro. I misteri possibili, quindi, dato che gli evitabili lo sono per definizione, sono i soli indagabili.

Credere che l’arte, la filosofia e la poesia siano mere speculazioni di “letterature”, e sostenere che invece sono le torri della Finanza ad essere poesia, credo che nessun uomo di buon senso al mondo lo possa sostenere.

Di conseguenza, mi sono occupato, nel mio passato, di esplorare alcuni misteri legati proprio all’arte, alla filosofia e alla poesia.

Uno di questi è stato l’enigmatico dipinto di Leonardo, chiamato “La Gioconda”, il cui appellativo, quindi, mi fece sempre sospettare che nascondesse misteri di tutt’altra natura. Un semplice sorriso, non poteva essere certo l’ obiettivo di un Genio.

Cinnque anni fa, quindi, decisi di approfondire la sua percezione, immaginando che l’Autore del dipinto, avesse potuto utilizzare degli stratagemmi per far risultare ovvia un’espressione, ma anche sufficentemente ovvia da farne dubitare.  Allora, infatti, non c’erano ancora problemi di “Gestald”.

Composi quindi il dipinto nella mia intenzione di realizzarlo, parimenti all’autore, immaginando di dovere nascondere, in esso, cose che già allora potevano essere palesi, ma non per questo “Gestaltizzate”.

Incominciai a scomporre il dipinto, sovrapponendone quindi immagini riflesse, attraverso semplici trucchi di grafica computazionale, oggigiorno addirittura on-line.

Il criterio che seguii, fu il semplice criterio del “tentativo ed errore”, possibile a qualsiasi individuo.

Tuttavia, in pochi attimi, mi si presentò uno spettacolo che mi lasciò impietrito: Leonardo, nel dipinto, aveva voluto descrivere la sua personale intepretazione della nascita del mondo e delle cose, attribuendo precisi significati anche alle religioni ed alle reliquie che esse sostenevano di possedere e mostrare, cosa che riprende il magnifico Bocaccio in quella straordinaria opera di puro genio ironico che è il “Decamerone”.

Qui di seguito lascio al lettore la libera capacità di riconoscere, in un particolare appositamente selezionato per l’occasione – il pesce – di quale possa essere la natura delle osservazioni Leonardesche, universalmente riconosciuto come Genio Assoluto.

E’ solo un particolare, ma ad il lettore di un blog aziendale, che cerca consigli per gli acquisti, può già essere perlomeno sufficiente.

Attività.

Rocca srl è un azienda artigianale di produzione e quindi vendita di olio biologico multivarietà. Essa, coltivando Ulivi in Calabria, esporta il prodotto nelle provincie di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Pavia, Lodi, Cremona, Bergamo, e , ultimamente, anche in Torino città e provincia.

Il “consumatore”

Se prendiamo un soggetto umano, ne possiamo rappresentare sempre ruoli socialmente differenti. Un uomo, è un “automobilista”, un “attivista”, un carattere, ad esempio, “paranoico”, un “uomo” – o donna -, un “tifoso” , un “elettore” ecc. ecc.

Un individuo, quindi, nell’arco della sua giornata, può trasformarsi in tanti differenti soggetti sociali, tutti rientranti in una possibile categoria che è sottoposta a studio da parte di “esperti”. Gli economisti, per cui il soggetto umano è la possibilità di creare un mercato, sia che si tratti di un costo che di un utile, definiscono un soggetto umano che risponde ad un mercato un “consumatore”. Noi tutti, quindi, non abbiamo reali esigenze da soddisfare secondo il nostro gusto, capacità e volontà, ma “consumiamo”.  Il “consumatore” è totalmente privo di volontà sebbene in possesso di una logica. Esso, consuma. Quindi non si nutre, nè mangia, ma consuma beni. Tale definizione deriva dal fatto che ad un’analisi dei fatti, le merci alimentari acquistate dalle società industrializzate sono enormemente superiori al fabbisogno naturale di ciascun individuo. Ciò significa che c’è un esubero di calorie acquistate che viene matematicamente “gettato”, consumato, inutilizzato, bruciato a vuoto. Il “consumatore”, quindi, è il soggetto che nè acquista per mangiare, nè acquista perchè ha fame, ma, appunto, non si sa perchè acquista, ma acquista.

Nutrirsi non è cibarsi, cibarsi non è mangiare, mangiare  divene sempre “consumare”.  Nel nostro lessico il nutrimento è considerato l’elemento base dell’alimetazione di un essere vivente. Le piante, gli animali, i pesci, si nutrono di altri esseri viventi o di sostanze biologico-chimiche presenti in natura. Anche l’uomo, può nutrirsi, per vivere, ma, la sua capacità di trasformare proprio l’elemento naturale e il senso che assume la necessità del nutrimento, lo fanno salire al grado di “essere che si ciba”. In questo caso, il cibo è un elemento che non è immediatamente un elemento naturale, ma passa attraverso la sua propria manipolazione. Il cibo, quindi, ha la funzione di nutrire l’organismo umano, ma , in più, possiede il senso che appartiene a questo gesto necessario. Il cibo testimonia la capacità propria dell’uomo di creare il proprio sostentamento mediante la trasformazione dell’elemento naturale: è quindi, un “atto di pensiero”. In questo modo, l’uomo, crea da solo il proprio nutrimento, prendendolo dalla natura, ma, appunto, umanizzandolo. Se nella parole “nutrimento” vi è un basso grado di consapevolezza e nella parola “cibo” vi è un perfetto grado di coscienza – di chi si ciba – nel vocabolo mangiare v’è, indubbiamente, un elemento di indeterminazione. Il verbo “mangiare” , infatti, designa l’atto di inglobare in un organismo qualcosa a suo proprio fine, che mantiene una certa distanza dalla nutrizione di cui esso ha bisogno. La balena mangia il krill, lo squalo mangia un tonno, un leone mangia una gazzella e così via. Mangiare ha in sè un grado di inconsapevolezza, relativo o alla cosa che si mangia o relativo a chi compie l’atto di mangiare. Mangiare è quindi un atto col quale solo un animale – quale è anche l’organismo umano – immette nel proprio organismo delle sostenza necessarie alla sua sopravvivenza. Mangiare, quindi, è un atto relativo ad una tendenza di un organismo animale, che esso compie più o meno necessariamente e più o meno inconsapevolmente.

Vi è dunque una separazione categoriale, nel mercato. Essa si riferisce a due generi: Produttori e Consumatori. Non vi sono soggetti umani, in questa catena, reali, che parlano e discutono, ma macchine, che producono e che consumano. A tale assurdità lessicale si giunge attraverso le semplificazioni necessarie all’ economista per elevarsi al rango di “pensatore”, che, al contrario di quelli veri, per cui tutti gli uomini sono in grado di esercitare non solo il pensiero, ma anche la libera scelta, implica una sorta di meccanismo già esistente – che lui non ha certo creato – e di cui discute con somma leggerezza. Leggerezza, poichè entrambi i soggetti nominati – Produttore e Consumatore – sono considerati solo ed unicamente dal punto di vista dell’industria, vero riferimento ideale di meccanismo funzionante, con regole semi-matematiche. L’attuale crisi economica, invece, mostra come, al contrario, il “mercato” è costituito da soggetti umani, pensanti e senzienti, che possono astenersi volontariamente dall’obbligo imposto dalle industrie di , appunto, “consumare”. Il fatto che in questo momento non ci sia denaro circolante, è la dimostrazione della fine della fiducia incondizionata che i beni materiali possano costituire la totalità del valore sociale di una civiltà, momentaneamente standardizzata su di una comunicazione globale.

Del resto, a questa situazione paradossale, in cui la necessità naturale della nutrizione diventa una situazione di inferiorità rispetto a chi non ne ha sufficente bisogno, si basa sull’ottenimento del risultato che il dialogo tra le parti sociali si è completamente azzerato. Dopo avere introdotto forzatamente il pensiero standard, TV e giornali, all’individuo è stata tolta la possibilità di esprimersi a parole, per ridursi ad esprimersi con mezzi di tutt’altro genere. Una pettinatura “parla”, un vestito “parla”, un’auto “parla”, ma nessuno dice nulla, poichè la comunicazione cosciente non esiste. Trovatisi nell’impossibilità di sussistere autonomamente, gli psicologi si sono conquistati il posto nelle industrie, nel marketing, nelle aziende locali, dove, invece di ristabilire l’ordine naturale Uomo-Natura, hanno consolidato il rapporto inversamente proporzionale Istituzione-uomo, dove è l’istituzione vera, e l’uomo mancante di essa. Quindi le leggi che governano – anche se non perfettamente, per fortuna – il comportamento irrazionale dell’uomo, vengono utilizzate – è una vecchia scoperta, ma non è stata ancora superata – a servizio del meccanismo del consumo delle merci.

Non molto tempo fa, un Presidente degli Stati Uniti disse: “Mi raccomando, spendete…”

Globalizzazione e Regionalismi (11)

La micro-produzione dell’olio, la micro-coltivazione di peperoni, pomodori e zucchine, la micro-pesca del tonno e delle aringhe e delle acciughe, trova quindi ragione di esistere nel coordinamento che l’attività commerciale di distribuzione, che si accolla l’onere di fornire continuità alla vendita,  gli può offrire. Il prezzo da pagare, per non fare parte del mondo industrializzato, è semplicemente l’aumento dei costi di produzione. Ma a fronte di questa difficoltà,  il mercato regionale risponde con una offerta di prodotti che sono, generalmente, non solo superiori, ma, appunto,  UNICI.

Conviene riprendere la spiegazione. Ciò che è unico è implicitamente superiore a ciò che invece non lo è.  Bugatti è famoso proprio per l’originalità delle automobili che costruiva, ancora prima che queste divenissero l’oggetto principe dell’economia mondiale. Il prodotto regionale, quindi, non si inserisce nemmeno nella dialettica di superiore-inferiore, ma appunto in quella dell’unicità del prodotto che esso offre. Per dirla con una metafora colorita, il prodotto regionale, non è l’asettica ragazza di copertina che fa pubblicità allo shampoo, ma la meravigliosa 17enne, vostra vicina di casa.

Globalizzazione e Regionalismi (10)

L’ “educazione” industriale, quindi, crea nuove necessità. Tuttavia, lo spazio che rende possibile, non è uno spazio semplice. Approvvigionandosi dalle coltivazioni piu’ estese – sia nella propria nazione che fuori – dagli allevamenti piu’ grandi, dalle pescere piu’ continue, lascia si lo spiraglio dell’esigenza di mercato, ma soprattutto la laboriosità del reperimento del prodotto. Il prodotto regionale , quindi, deve seguire tutta una trafila di contatti e di accordi che sono sempre precari, per continuità ed efficenza. Se la “produzione” della pesca del tonno vorrebbe allocati tutti i tonni che produce, solo i piccoli pescatori, per esempio, devono cercare un mercato alternativo, che premi la loro poca, ma autonoma pesca. Così si voglia per gli uliveti, tutti di dimensioni ragionevoli, che non possono essere vantaggiosi per l’industria, e che, offrendo un prodotto non standard – un uliveto ha una caratteristica omogenea (tanti piccoli uliveti non possono offrire il medesimo olio… ) – sono costretti a mercati alternativi.